BANCA D’ITALIA: l’impatto del Superbonus 110% e Bonus facciate, sull’economia italiana

Immagine di un piccolo stabile con lavori di ristrutturazione e grafici, per l'analisi dell’impatto del Superbonus 110% e Bonus facciate sull’economia italiana

La Banca d’Italia ha pubblicato i risultati dello studio L’impatto economico degli incentivi fiscali alle ristrutturazioni edilizie, nel quale è stato analizzato l’impatto economico di due noti crediti di imposta, il “Superbonus 110%” e il “Bonus facciate”.

L’analisi della Banca d’Italia evidenzia che i due incentivi fiscali hanno avuto un impatto significativo sugli investimenti nel settore, ma con un’efficacia inferiore alle aspettative e un costo elevato per le casse dello Stato.
Riconoscendo, però, come il periodo pandemico in cui sono stati concepiti (soprattutto il “Superbonus 110%) – che richiedeva una necessaria tempestività decisionale – non abbia certo facilitato il processo decisionale.

La ricerca riconosce, comunque, che l’analisi effettuata non consente una valutazione completa del programma e che esista un certo grado di incertezza riguardo alle stime del moltiplicatore fiscale, visto che la spesa per investimenti nell’abitazione e l’effettivo costo delle misure potrebbero ancora essere rivisti nei conti nazionali.


Punti chiave:

  • Spesa ingente: oltre 170 miliardi di euro di spesa pubblica dal 2021 al 2023 (circa il 3% del Pil annuo).
  • Effetto moltiplicatore basso: meno di un euro di valore aggiunto è stato generato per ogni euro di spesa pubblica.
  • Un quarto di investimenti “a fondo perduto”: circa 45 miliardi di euro di investimenti sarebbero stati fatti anche senza i bonus.
  • Impatto concentrato sul settore edile: limitato effetto su altri settori economici.
  • Vantaggi ambientali e sociali non valutati: l’analisi non considera l’impatto sull’efficienza energetica e sulla riqualificazione urbana.
  • Criticità nella gestione: problemi legati alla cessione dei crediti e all’incertezza normativa.
  • Contesto di crisi: le decisioni sui bonus sono state prese in urgenza durante la pandemia, senza un’adeguata valutazione.
  • Necessità di un ripensamento: serve progettare incentivi più mirati, efficienti e sostenibili per il futuro.

Conclusione: gli incentivi in esame hanno avuto un impatto positivo sugli investimenti nel settore edile, ma con costi elevati e un’efficacia limitata.
È necessario ripensare le politiche di incentivazione per concentrare le risorse su interventi realmente necessari, efficienti e socialmente più equi, favorendo la transizione verso un’economia più verde e sostenibile.


Attivi in Italia dalla seconda metà del 2020, con l’obiettivo di stimolare il settore delle costruzioni attraverso investimenti mirati a migliorare l’efficienza energetica e le caratteristiche antisismiche ed estetiche degli edifici residenziali.
Le due misure hanno comportato una spesa di oltre 170 miliardi di euro, nel periodo 2021-23 (circa il 3% del PIL in media d’anno).

La valutazione dei loro effetti è stata realizzata confrontando l’andamento della spesa per investimenti residenziali dell’Italia, con quello di alcuni paesi europei che non avevano adottato programmi simili (cd. “metodo del controllo sintetico”).

Si stima che circa un quarto della spesa relativa agli investimenti sussidiati (oltre 45 miliardi) sarebbe stata effettuata anche in assenza degli incentivi.
Questo risultato implica che il moltiplicatore fiscale sia stato inferiore all’unità, ossia che i benefici per il complesso dell’economia in termini di valore aggiunto siano stati più bassi rispetto ai costi sostenuti per le agevolazioni.

Utilizzando il metodo del controllo sintetico, si è dimostrato dimostrato che i sussidi hanno fornito un notevole stimolo agli investimenti abitativi e che alla fine del 2023, gli investimenti per abitante in termini reali erano maggiori del 67% in Italia rispetto al controllo sintetico.

La quota di investimenti immobiliari che hanno ricevuto sostegno pubblico e che non sarebbero stati realizzati senza il programma, è stata di circa il 73%.
In altre parole, un quarto della spesa relativa agli investimenti agevolati, oltre 45 miliardi, rappresenta una “perdita secca”, cioè investimenti che sarebbero stati realizzati anche senza “Bonus facciate” e “Superbonus 110%”.

Alla luce di questo risultato, il moltiplicatore fiscale risulta essere leggermente inferiore a uno, una cifra inferiore a quella associata agli investimenti pubblici nei modelli macroeconomici standard o a quelli previsti per l’economia verde.
Si è valutato, quindi, che “Bonus facciate” e “Superbonus 110%” siano stati responsabili di circa 2,6-3,4 punti percentuali della crescita totale del valore aggiunto del 13,5%, dal 2020 al 2023.

Gli incentivi hanno rappresentato, di conseguenza, circa tre quarti della crescita del valore aggiunto nel settore delle costruzioni.
Allo stesso tempo, hanno svolto un ruolo limitato in altri settori.

È importante sottolineare che l’analisi non consente una valutazione completa del programma.
Ad esempio, il possibile impatto sull’ambiente derivante dall’aumento dell’efficienza energetica non è incluso nel quadro, né sono state quantificate le possibili risposte comportamentali di imprese e famiglie, in un contesto caratterizzato da prezzi di input in aumento e lunghi ritardi nell’esecuzione dei lavori di ristrutturazione.

Non sono state affrontate, inoltre, le questioni legate alla trasferibilità dei crediti d’imposta a terzi.
Alcuni di questi erano probabilmente positivi, poiché consentivano ai soggetti con reddito imponibile pari a zero di utilizzare il credito d’imposta, mentre altre questioni sono state negative, poiché hanno generato incertezza relativa ai beneficiari finali delle sovvenzioni e alle loro implicazioni sul bilancio pubblico.

Va notato, inoltre, che in effetti esiste un certo grado di incertezza riguardo alle stime del moltiplicatore fiscale.
Innanzitutto, sia la spesa per investimenti nell’abitazione, che il costo delle misure, potrebbero ancora essere rivisti nei conti nazionali.
In secondo luogo, sono state utilizzate le elasticità del modello standard, che potrebbero non essere valide nel contesto della ripresa post-pandemia ed, infine, i risultati potrebbero essere influenzati dall’anticipazione di futuri investimenti immobiliari che potrebbero portare ad una corrispondente diminuzione nei prossimi anni.

Confrontando il valore aggiunto generato dal programma con i suoi costi e utilizzando le elasticità standard tra entrate e produzione, si può concludere che la politica non si è “ripagata da sola”.
Cioè, le entrate extra-pubbliche generate dalla spinta indotta dai bonus all’economia attività sono state significativamente inferiori al loro costo lordo per le casse dello Stato, comportando un ulteriore accumulo di debito pubblico che dovrà essere ripagato in futuro.

Di conseguenza, si può sostenere che, guardando al futuro, le decisioni politiche dovrebbero essere in grado di progettare iniziative che siano socialmente più giuste e finanziariamente più sostenibili di quelle analizzate nel presente documento.

Una possibile soluzione per continuare a sostenere le ristrutturazioni “green” nel modo più efficiente potrebbe essere quella di lasciare che il tasso di incentivo sia massimo solo per le famiglie più povere e per le opere puramente “verdi”.
Tuttavia, anche in questo caso il tasso dovrebbe essere leggermente inferiore al 100%, per indurre i richiedenti a contenere il costo complessivo della ristrutturazione.
L’aliquota dovrebbe quindi diminuire proporzionalmente con il crescere del reddito dei richiedenti e tanto minore è la quota di opere verdi.


Fonte: BANCA D’ITALIA | Studio n. 860 – L’impatto economico degli incentivi fiscali alle ristrutturazioni edilizie – 17 giugno 2024