Con la sentenza n. 12395 depositata in Cancelleria lo scorso 7 maggio 2024, la Cassazione si è espressa contro la prassi consolidata dell’Agenzia delle Entrate in relazione all’applicabilità della cedolare secca.
Precisando che, in tema di redditi da locazione, sia solo la qualifica del locatore ad essere rilevante, atteso che l’esclusione (di cui all’articolo 3, sesto comma, del Decreto Legislativo n. 23/2011) si riferisca solo alle unità immobiliari ad uso abitativo in cui i titolari del diritto di proprietà, o del diritto reale di godimento, svolgano un’attività d’impresa, arti o professioni.
Secondo la stessa sentenza le “persone fisiche” possono, quindi, optare per la cedolare secca, anche nell’ipotesi in cui il conduttore sia un soggetto imprenditore che lo destini ad abitazione di collaboratori e/o dipendenti, diversamente da quanto indicato dalla stessa Agenzia.
Deduce, inoltre, che la formulazione del testo normativo non offra alcun argomento a supporto della restrittiva interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria nella Circolare n. 26/E del 1 giugno 2011, essendo tale limite soggettivo al regime opzionale della «cedolare secca» sugli affitti riferibile unicamente ai locatori.
L’esclusione deve essere riferita, quindi, esclusivamente, alle locazioni di unità immobiliari effettuate dal locatore nell’esercizio della sua attività di impresa o della sua arte/professione.
Restando, invece, irrilevante la qualità del conduttore e la riconducibilità della locazione, laddove ad uso abitativo, alla attività professionale del conduttore.
La circostanza che il regime tributario in esame avvantaggi anche il conduttore si ritiene non possa giustificare un’interpretazione da cui derivi una riduzione dell’ambito applicativo della cedolare secca in danno del locatore, a cui è riservata la relativa scelta e che è il beneficiario principale di tale regime.
Per completezza specifica deve essere sottolineato, inoltre, che l’Amministrazione finanziaria non ha poteri discrezionali nella determinazione delle imposte e che, di fronte alle norme tributarie, essa ed il contribuente si trovano su un piano di parità.
Per cui la cosiddetta interpretazione ministeriale, sia essa contenuta in circolari o risoluzioni, non costituisce mai fonte di diritto (Cass. n. 3598/2022; n. 14619/2000; Cass., SS.UU., n 23031/2007).
Conseguentemente, dovrebbe essere intesa soprattutto come atto interno della stessa Amministrazione e destinata ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti, ma inidonea ad incidere sugli elementi costitutivi del rapporto tributario.
Fonte: fiscoetasse.com – 13 aprile 2024