Banca d’Italia nel corso di un’audizione davanti alla Commissione bilancio della Camera, nell’ambito dell’indagine conoscitiva sugli effetti macroeconomici e di finanza pubblica derivanti dagli incentivi fiscali in materia edilizia, ha espresso alcune considerazioni di carattere analitico, propedeutiche a una prima valutazione di questi strumenti.
Il contributo del settore delle costruzioni alla crescita negli ultimi anni – ha dichiarato Pietro Tommasino Capo del Servizio Assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia – è stato rilevante su tale settore ed ha inciso in modo significativo il potenziamento degli incentivi in materia edilizia.
Il loro costo in termini di finanza pubblica tuttavia è stato ingente, sebbene l’impatto abbia riguardato solo una piccola parte del patrimonio immobiliare nazionale, ma resta fermo che i dati e le analisi al momento disponibili non consentono ancora una valutazione precisa e definitiva del rapporto tra i costi e i benefici delle misure.
Gli effetti a livello macroeconomico: secondo le valutazioni basate sulle elasticità incorporate nel modello econometrico della Banca d’Italia, il moltiplicatore associato a una maggiore spesa in costruzioni potrebbe essere superiore all’unità, non dissimile da quello degli investimenti pubblici.
Il moltiplicatore associato alle risorse pubbliche impiegate per agevolare interventi “sostitutivi”, ovvero per finanziare investimenti che sarebbero stati effettuati anche in assenza dell’incentivo, è anch’esso positivo.
Queste risorse producono effetti economici liberando fondi privati che si rendono così disponibili per usi alternativi.
L’insieme di queste considerazioni farebbe ritenere plausibile che il moltiplicatore non sia lontano dall’unità, ma la valutazione puntuale degli effetti connessi con le misure è complicata da una serie di elementi (come la disponibilità di materie prime e manodopera che possono limitare gli effetti degli incentivi traducendosi in parte in pressioni al rialzo sui prezzi), che vanno prevalentemente nella direzione di un ridimensionamento del moltiplicatore.
In secondo luogo, Bonus facciate e Superbonus potrebbero aver determinato una ridefinizione dei piani di investimento delle famiglie, con un’anticipazione al biennio 2021-22 di spese programmate per anni successivi.
Questa anticipazione dei piani di spesa potrebbe aver generato impatti macroeconomici particolarmente concentrati nel periodo di vigenza dei benefici fiscali, cui potrebbero seguire effetti negativi non trascurabili di “caduta tecnica”, anch’essi difficili da quantificare.
Potrebbe conseguirne un andamento temporale non lineare anche del relativo moltiplicatore fiscale.
Il contributo alla transizione ambientale: in Italia ai consumi di energia del settore residenziale e dei servizi (trasporti esclusi) è riconducibile circa il 23% delle emissioni nazionali di gas a effetto serra.
Una drastica diminuzione dei consumi energetici degli edifici residenziali è dunque estremamente utile al fine sia di raggiungere l’obiettivo comunitario di emissioni nette nulle entro il 2050 sia di rendere le famiglie meno esposte ai rincari energetici.
Tuttavia l’effettiva riduzione di questi ultimi (e dunque delle emissioni) dipende anche da quanto gli occupanti modificano le proprie scelte di consumo una volta che l’immobile è reso più efficiente.
L’analisi costi-benefici di una politica climatica può essere condotta mettendo a confronto il suo costo con il valore monetario attualizzato della riduzione attesa delle emissioni di gas serra, calcolato in termini di minori danni futuri legati al cambiamento climatico in tutto il pianeta (ad esempio danni causati da calamità naturali, minore produttività agricola). Tale valore è noto come Social Cost of Carbon.
Le stime del Social Cost of Carbon reperibili in letteratura variano tra una decina e svariate centinaia di euro per tonnellata di CO2.
L’ampio spettro dei valori riflette in larga misura le diverse ipotesi sul tasso di sconto utilizzato per attualizzare i danni futuri e il peso relativo da assegnare a quelli che si verificheranno nei paesi a basso reddito, i più esposti agli effetti del cambiamento climatico in virtù della loro posizione geografica.
Adottando un tasso di sconto di poco inferiore al 2%, in linea con alcuni contributi recenti nella letteratura sul tema, e assegnando un peso relativamente maggiore ai danni che si verificheranno nei paesi a basso reddito, i benefici ambientali del Superbonus ripagherebbero i costi finanziari in circa 40 anni.
Adottando tassi di sconto più alti o ponderando i danni in modo uniforme fra i diversi paesi, il valore monetario dei benefici ambientali risulterebbe invece inferiore ai costi.
Conclusioni: i provvedimenti di incentivazione all’edilizia residenziale adottati nel 2020 rispondevano anche all’esigenza di sostenere il settore delle costruzioni dopo una lunga fase di debolezza, accentuatasi con la crisi pandemica.
L’aumento dell’entità delle detrazioni e le modifiche delle modalità di fruizione, con la possibilità di cederle a terzi, hanno accresciuto la domanda di lavori nel breve periodo.
Gli interventi di riqualificazione edilizia agevolati con il Superbonus contribuiscono anche, in parte, alla transizione ecologica.
Tuttavia, come sottolineato più volte in passato, tali agevolazioni hanno un costo rilevante per i conti pubblici che va valutato considerando il minore impatto di questa tipologia di investimenti sulla produttività e sulla crescita economica nel lungo periodo rispetto a possibili impieghi alternativi.
Inoltre, detrazioni con aliquote pari o superiori al 100% possono accrescere i costi, dato che il contribuente – non partecipando in alcun modo alla spesa o partecipando in modo limitato – non ha interesse a contenerli.
Il costo degli interventi si è rivelato molto superiore alle stime iniziali.
Questo conferma gli inconvenienti in termini di trasparenza delle somme effettivamente stanziate e di controllo dei conti connessi con l’utilizzo dei crediti di imposta come strumento di politica di bilancio.
Il moltiplicatore fiscale dell’intervento, per quanto relativamente elevato, verosimilmente non è stato tale da rendere lo strumento a impatto nullo per il conto economico delle Amministrazioni pubbliche.
Andrebbero anche valutati compiutamente gli aspetti redistributivi di queste misure, rivolte ai proprietari di immobili (esercizio al momento complesso con i dati a disposizione).
Una recente analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio sui dati delle dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche mostra che almeno fino al 2020, ossia prima che le detrazioni fossero cedibili, questo tipo di agevolazioni ha favorito i contribuenti con alto reddito.
Proprio per la cedibilità, gli effetti del Superbonus potrebbero essere stati meno regressivi, anche se non esistono ancora evidenze sistematiche a riguardo.
Superata questa fase di discussione e ripensamento del Superbonus e delle altre agevolazioni per l’edilizia, andrà fatto uno sforzo per disegnare incentivi in materia di efficienza energetica che siano stabili nel lungo periodo (dovendo produrre effetti coerenti con gli impegni presi dall’Italia in ambito europeo) e sostenibili per le finanze pubbliche.
Efficienti ed efficaci, cioè in grado da un lato di massimizzare la quota di investimenti “aggiuntivi” e dall’altro di avere un impatto significativo su una quota ampia del patrimonio immobiliare.
Equi, cioè tali da concentrare le risorse sulle famiglie più bisognose (a beneficio anche della loro efficienza).
Più in generale, andranno messi a fuoco gli obiettivi delle politiche pubbliche in ambito abitativo.
Questi ultimi non si limitano ai pur importanti aspetti della sostenibilità ambientale e del sostegno congiunturale al settore edilizio, ma includono anche l’efficienza dei mercati (delle nuove abitazioni, di quelle preesistenti e degli affitti), la disponibilità di abitazioni di qualità a prezzo accessibile (in primo luogo per le famiglie con redditi più bassi) ed il rispetto dell’estetica e della qualità delle architetture e dell’urbanistica.
Una volta stabilita l’importanza relativa da dare a questi obiettivi si potrà discutere con quali strumenti sia più agevole e meno costoso raggiungerli, considerando affianco ai trasferimenti e alle agevolazioni fiscali (per quanto possibile indirizzati soprattutto alle famiglie più vulnerabili) anche l’intervento diretto.
Nel nostro paese, infatti, l’investimento pubblico nel settore dell’edilizia sociale in rapporto al PIL è inferiore a quello medio nella UE.
Fonte: bancaditalia.it – 29 marzo 2023