Riqualificazione energetica: i tempi, i costi e i vantaggi derivanti dai necessari interventi sulle abitazioni

Grafico ISTAT della produzione nelle costruzioni, dal gennaio 2020 al gennaio 2024

La decarbonizzazione del patrimonio edilizio, è una delle grandi sfide che il settore delle costruzioni dovrà affrontare nei prossimi anni.
Un percorso complesso che richiederà soluzioni e strumenti innovativi, concretezza, fattibilità, conoscenza e competenza, soprattutto per intervenire su un patrimonio edilizio storico come quello italiano.

A supporto di questo percorso Assimpredil Ance, Fondazione Symbola, CRESME e European Climate Foundation hanno realizzato lo studio “Il valore dell’abitare. La sfida della riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano”, che getta le basi per una riflessione sulle possibili linee di intervento per l’attuazione in Italia della nuova direttiva europea recentemente approvata.

E sulle opportunità di medio-lungo periodo per il Paese, in termini di riduzione della dipendenza energetica, potenziamento della filiera delle costruzioni e delle competenze, riduzione della bolletta energetica delle famiglie, specialmente quelle più fragili.

Italia prima in Europa per numero di abitazioni procapite: lo stock edilizio nazionale, stimato al 2022 da CRESME, è di 12.539.173 edifici residenziali che ospitano un totale di 32.302.242 abitazioni di cui il 78,4% circa (25.324.854 abitazioni) è occupato da famiglie residenti.
Un numero considerevole che rende l’Italia primo paese in Europa per numero di case per 1000 abitanti.

Se usiamo i dati dello stock abitativo dell’ISTAT, in Italia risultano 599 abitazioni ogni mille abitanti contro una media europea di 506, seguono Portogallo (582), Norvegia (579), Finlandia (576) e Francia (566).
Un primato che evidenzia la centralità delle politiche per la casa nel nostro Paese, soprattutto alla luce di una graduale perdita di valore dello stock edilizio, specialmente nelle aree periferiche.


La maggior parte degli edifici residenziali sono datati: il 72% degli edifici ha più di 43 anni ed è stato costruito prima della legge sull’efficienza energetica (L. n.373/76), con il 68,5% delle abitazioni che evidenzia una classe energetica compresa tra la “E” e la “G”.
La maggior parte delle abitazioni (il 18,5%) sono degli anni ’60, mentre il 69,5% è antecedente al 1980.

Se si considerano le sole abitazioni occupate da famiglie residenti, la quota di abitazioni vetuste (che hanno più di 43 anni) scende al 68,2%.
Si tratta di aree dove si concentra la fascia più debole ed economicamente più fragile della popolazione, dal punto di vista energetico del patrimonio edilizio, considerando che il settore residenziale consuma il 27% dell’energia finale e pesa come un macigno sulla spesa delle famiglie.


I vantaggi del miglioramento energetico: il report dimostra che basterebbe far salire di sole 2 classi energetiche il patrimonio edilizio residenziale, per consentire la riduzione media del 40% della bolletta di una famiglia, pari a un risparmio annuo di 1.067 euro (con i costi del 2022), con un corrispondente incremento del valore delle abitazioni.

Una casa ristrutturata, come evidenziato nella ricerca, varrebbe infatti mediamente il +44,3% nei confronti di una casa da ristrutturare.
Incremento che arriverebbe al +50,8% fuori dalle aree metropolitane e in luoghi non turistici, mentre nelle periferie e nelle corone delle aree metropolitane varrebbero il +40,5% rispetto a quelle non ristrutturate.


Quali sarebbero i tempi necessari per intervenire sulle abitazioni e farle passare da una classe G a una classe D (-75% del fabbisogno energetico)?

I traguardi intermedi fissati nell’obiettivo di arrivare al 2050 con zero emissioni, sono quelli di ridurre del 16% i consumi di energia primaria delle abitazioni entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035.
Garantendo che almeno il 55% della riduzione del consumo medio di energia primaria sia ottenuto attraverso la ristrutturazione degli edifici con peggiori performance, con esenzione degli edifici storici e delle seconde case.

Si prevede che, stante i necessari tempi di recepimento della direttiva da parte del Governo italiano e del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (18 ai 24 mesi dalla sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale), redigere i decreti attuativi (in tempi che solitamente vanno dagli 8 ai 18 mesi) e, infine, ci vorranno altri 3-5 mesi per definire i corsi di formazione per i professionisti.
Nell’ipotesi migliore, che prevede di concludere tutte le fasi nei tempi più stretti, si potrà avviare la fase operativa a giugno 2026, nell’ipotesi più realistica che prevede di concludere tutte le fasi nei tempi massimi a disposizione, si potrà avviare l’ondata di riqualificazioni energetiche a partire da dicembre 2027.
Resterebbero, quindi, solo tre anni (2028-2030) per realizzare gli interventi e ridurre del 16% i consumi di energia delle abitazioni, dettati dalla direttiva stessa.


Quali sarebbero i costi? La quota nazionale di patrimonio edilizio residenziale su cui questa ricerca ipotizza un intervento prioritario è rappresentata dal 15% delle abitazioni con le peggiori performance energetiche, occupate da famiglie residenti e con l’esclusione delle abitazioni in edifici storici (tutti gli edifici costruiti prima del 1919 e il 70% degli edifici costruiti tra il 1919 e il 1945).
Escludendo le abitazioni con dimensioni e incidenza minima, si tratterebbe dunque di 3.215.241 abitazioni.

Secondo l’esperienza del superbonus le simulazioni effettuate indicherebbero la necessità di 319,2 miliardi di euro per intervenire su circa 3,2 milioni di abitazioni e farle salire di almeno 2 classi energetiche, mentre secondo i calcoli basati su dati ENEA ne potrebbero essere sufficienti 258,5.


Cosa fare? Per raggiungere gli obiettivi intermedi fissati dal PNIEC 2023 e dalla nuova direttiva EPBD, il report suggerirebbe di procedere ad un ritmo analogo a quello raggiunto nel 2022 e nel 2023, grazie al Super Ecobonus 110%.

Si potrebbe ipotizzare un Super Ecobonus “80%”, ma lungo almeno 10 anni, che favorisca le tecnologie e gli interventi con miglior rapporto tra risparmio generato di combustibile fossile e costo di implementazione, che incentivi la scelta di soluzioni di indipendenza energetica, autoconsumo collettivo e capacità di fornire flessibilità alla rete elettrica.

Intanto nel PNIEC 2023 (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) si parla di riforma del quadro normativo che prevedrà diverse aliquote di detrazione, in funzione delle performance generali raggiunte dall’edificio, da ottenere attraverso interventi con vari livelli di priorità.
La riforma dovrebbe avere una durata almeno decennale per rispondere agli sfidanti obiettivi previsti per il settore residenziale e dovrebbe:

  • essere indirizzata prevalentemente alle prime case, alle abitazioni meno performanti, alle situazioni di povertà energetica e all’edilizia residenziale pubblica;
  • garantire costi massimi specifici omnicomprensivi sia per singoli interventi, sia per interventi di riqualificazione energetica profonda, di semplice verifica e univoci per l’intero territorio nazionale;
  • essere affiancata da strumenti finanziari di supporto (finanziamenti a tasso agevolato anche a copertura totale dei costi di investimento, cessione del credito con condizioni di favore per le persone in condizioni di povertà energetica).

Inoltre bisognerebbe attuare delle azioni preliminari finalizzate alla riduzione e al monitoraggio dei consumi energetici del settore residenziale:

  1. diffondere del materiale informativo sulle buone pratiche per il risparmio energetico e la salubrità dell’aria degli ambienti interni, come fanno in Spagna, Francia e Germania;
  2. individuare gli edifici/unità immobiliari effettivamente (e non potenzialmente) più energivori, dando incarico e formale autorizzazione (superando il problema della privacy) ad un Ente ad accedere alla lettura dei POD, al fine di individuare la quota stabilita di edifici/unità immobiliari effettivamente (e non potenzialmente) più energivore.

Fonte: Symbola.net – 25 marzo 2024